P. Mazzolari, Tempo di credere, Edizione critica a cura di M. Maraviglia, Dehoniane, Bologna 2010 cfr. Academia.edu

Indice

Introduzione (di Mariangela Maraviglia) p. 5;
Tempo di credere nella produzione mazzolariana p. 7;
Il Vangelo e la storia p. 13;
Nella cultura del suo tempo p. 20;
La censura e il sequestro p. 25;
Il cristiano «uomo tra gli uomini» p. 40;
Nota alla presente edizione p. 44;
Ringraziamenti p. 45.
Primo Mazzolari, Tempo di credere
Tempo di credere p. 53;
Io credo;
Nel cenacolo p. 63;
L’ora desolata; Su la soglia;
La strada p. 77;
Dimenticare; Parliamo di cose nostre; Ho perduto il Signore!; Egli mi è venuto vicino;
Occhi che non vedono; Prime inquietudini; Chi vuole il mio star male?; … e l’un dei Due …; Il fatto di Gesù; Verso la speranza; Custos? quid de nocte?; Tempo d’Avvento; Voci lontane; Voci vicine; Ma Lui non l’hanno visto!; … o tardi di cuore a credere!;
Taverna p. 203;
Emmaus e «più oltre» …; … solo i violenti …; Resta con noi; Ci sei tu!; … con loro; – e Lo riconobbero nello spezzare il pane; Credere per chi non crede; Credere con chi crede;
Presentazione all’edizione del 1964 p. 265.

Abstract

Tempo di credere, terminato da don Primo nella seconda metà del 1940, viene sequestrato per ordine del Ministero della cultura popolare nel marzo 1941 e diffuso in forma clandestina negli anni successivi. È una meditazione sull’episodio evangelico dei due discepoli di Emmaus, ma il sequestro indica in modo eloquente l’irriducibilità della proposta mazzolariana ai miti propugnati dalla propaganda fascista.

Rifiutando atteggiamenti apologetici e spiritualmente disincarnati, Mazzolari definisce la Chiesa come «focolare che non conosce assenze», proponendo il principio il principio dell’accoglienza dei lontani e degli “smarriti”.

Gesù che si fa uomo e che cammina con l’uomo restituisce prospettive rinnovate all’intera vicenda umana, la consapevolezza dell’amore donato e condiviso permette di reinventare uno stile di carità che don Primo auspica fermento creativo dell’umanità e della Chiesa.

Gli scriveva con profonda adesione Giancarlo Vigorelli: «Ho letto quasi tutto il tuo libro, che mi è sembrato ed è certo il tuo più carico ed intenso, il più giustamente disperato».

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